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delle colonne russe, da tutte le sue supposizioni, egli vedeva con chiarezza che gli alleati lo credevano molto lontano davanti a loro, che le colonne che si muovevano nei pressi di Pratzen costituivano il centro dell'armata russa e che il centro era già abbastanza indebolito per poterlo attaccare con successo. Ma l'azione non cominciava ancora.   
   Quella era, per lui, una giornata solenne: l'anniversario della sua incoronazione. Verso l'alba si era appisolato per qualche ora, e adesso, o fresco, gaio, sano, in quella felice disposizione d'animo in cui tutto sembra possibile e tutto riesce, era montato a cavallo e s'era spinto in mezzo al campo. Stava immobile, guardando le colline che si intravedevano nella nebbia, e sul suo volto gelido c'era quella particolare sfumatura di gioia meritata e sicura che può apparire sul volto di un ragazzo innamorato e felice. I marescialli dietro di lui non osavano distrarre la sua attenzione. Egli guardava ora le alture di Pratzen, ora il sole che affiorava dalla nebbia.   
   Quando il sole fu completamente emerso e con abbagliante fulgore si allargò sui campi e sulla nebbia stessa, Napoleone (come se avesse atteso soltanto questo per dare corso alla battaglia) si sfilò il guanto dalla bella mano bianca, fece un cenno ai marescialli e diede l'ordine di cominciare l'azione. I marescialli, accompagnati dagli aiutanti, si allontanarono al galoppo in diverse direzioni, e, dopo pochi minuti, il grosso dell'esercito francese si muoveva rapidamente verso quelle alture di Pratzen, sulle quali le truppe russe, che scendevano a sinistra verso l'avvallamento, si assottigliavano sempre più.   
   

   Capitolo XV   

   

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