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cosa significa tutto ciò?» si udiva domandare da ogni dove.   
   Il principe Andrej distingueva a occhio nudo, in basso, sulla destra, una fitta colonna di francesi che saliva verso gli uomini dell'Apšeron, a non più di cinquecento passi dal punto in cui era fermo Kutuzov.   
   «Ecco, è venuto il momento decisivo! È giunto il mio momento,» pensò il principe Andrej e, spronato il cavallo, si avvicinò a Kutuzov.   
   «Bisogna fermare l'Apšeron, eccellenza!» gridò.   
   Ma in quell'istante tutto fu nascosto dal fumo, echeggiò vicina una sparatoria di fucili e una voce ingenuamente spaventata si mise a gridare a due passi dal principe Andrej: «È finita, amici!» E fu come se quella voce fosse stata un ordine: tutti cominciarono a fuggire. Una folla disordinata e sempre più numerosa fuggiva indietro, verso il luogo dove cinque minuti prima le truppe erano sfilate davanti agli imperatori. Non soltanto era difficile fermare quella moltitudine, ma era impossibile non lasciarvisi trascinare. Bolkonskij cercava solo di non restarne distaccato e si volgeva indietro a guardare, perplesso e incapace di comprendere ciò che accadeva davanti a lui. Nesvickij, stravolto, acceso in volto, gridava furibondo a Kutuzov che se non si fosse allontanato subito, senza dubbio sarebbe stato fatto prigioniero. Ancora fermo allo stesso punto, Kutuzov prese il fazzoletto senza rispondere. Da una guancia gli colava del sangue. Il principe Andrej si fece largo fino a lui.   
   «Siete ferito?» domandò, dominando a fatica il tremito della mascella inferiore.   
   «La ferita non è qui, ma là!» disse Kutuzov premendosi il fazzoletto sulla guancia e indicando i fuggiaschi. «Fermateli!» gridò; ma nello stesso tempo, probabilmente rendendosi conto che non era possibile fermarli, spronò il cavallo e si diresse verso destra.   

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