Finalmente agguantò un soldato per il bavero e lo costrinse a rispondergli.
«Eh, amico! Sono scappati da un pezzo, prima di tutti!» rispose il soldato a Rostov, ridendo chissà perché e divincolandosi.
Rostov lasciò andare quel soldato, che certo era ubriaco; fermò il cavallo di un attendente o del palafreniere di qualcuno che doveva essere un personaggio importante, e si mise a interrogarlo. L'attendente disse a Rostov che circa un'ora prima, proprio su quella strada, l'imperatore era stato portato via di gran carriera in una carrozza, e che inoltre era gravemente ferito.
«Non può essere,» disse Rostov, «certo si tratta di qualcun altro.»
«L'ho visto coi miei occhi,» rispose l'attendente con un sogghigno pieno di sufficienza. «Mi pare di conoscerlo, ormai, l'imperatore; l'ho visto tante volte a Pietroburgo, proprio come vedo voi. Stava dentro la carrozza, pallido, molto pallido. Come li ha scatenati al galoppo, i quattro morelli... mamma mia! Ci è passato davanti come un tuono: mi pare che dovrei conoscerli, ormai, i cavalli dello zar; e anche Il'ja Ivanyè. ll'ja il cocchiere, guida soltanto la carrozza dello zar.»
Rostov lasciò le briglie del cavallo dell'attendente e proseguì. Un ufficiale ferito gli passò accanto, a piedi.
«Ma chi cercate?» domandò. «Il comandante in capo? È stato ucciso da una palla di cannone, colpito in pieno petto davanti al nostro reggimento.»
«Non Kutuzov, ma quell'altro... come si chiama?...
«Ma chi? Kutuzov?» domandò Rostov.
«Non Kutuzov, ma quell'altro... come si chiama?... Tanto fa lo stesso: di vivi non ne sono rimasti molti. Ma voi andate laggiù, in quel