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rispondeva nemmeno con una parola alle domande che gli facevano. Quando però entrarono in Mosca, improvvisamente egli tornò in sé, e sollevando il capo a fatica afferrò per una mano Rostov che gli stava seduto accanto. Rostov fu colpito dall'espressione totalmente mutata, tenera e solenne del volto di Dolochov.   
   «Ebbene, come ti senti?» domandò.   
   «Male, molto male. Ma non si tratta di questo. Amico,» disse Dolochov con voce rotta, «dove siamo? Siamo a Mosca, lo so. Per me non ha importanza, ma lei l'ho uccisa, l'ho uccisa... Lei non sopporterà questo. Non lo sopporterà...»   
   «Chi?» domandò Rostov.   
   «Mia madre. Mia madre, il mio angelo, il mio angelo adorato.» E Dolochov si mise a piangere, continuando a stringere la mano di Rostov. Quando si fu calmato un poco, spiegò a Rostov che lui viveva con sua madre, che se sua madre lo avesse visto moribondo, non avrebbe potuto reggere; cosicché supplicò Rostov di andare da lei e di prepararla.   
   Rostov andò innanzi per adempiere all'incarico. Con suo grande stupore, venne a sapere che, quel bretteur, quel turbolento attaccabrighe di Dolochov viveva, a Mosca, con la vecchia madre e con una sorella gobba ed era il più tenero dei figli e dei fratelli.   
   

   Capitolo VI   

   
   Pierre negli ultimi tempi raramente si trovava con la moglie da solo a sola. Sia a Pietroburgo che a Mosca la loro casa era sempre piena di ospiti. La notte successiva al duello, egli, come spesso faceva, non andò in camera da letto, ma rimase nell'immenso studio del padre, quello stesso

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