avesse intuito il pensiero di Nikolaj, e sorrise.
Nel suo sorriso Rostov lesse lo stesso stato d'animo in cui egli si era trovato durante il pranzo al Club e in genere nei periodi in cui, come annoiato dalla vita d'ogni giorno, egli provava la necessità di uscirne con qualche azione strana, per lo più crudele.
Rostov si sentì a disagio; nella sua mente cercava, senza trovarla, una battuta scherzosa con la quale rispondere alle parole di Dolochov. Ma prima che vi riuscisse, Dolochov, guardandolo dritto in faccia, gli disse lentamente e scandendo le parole, in modo che tutti potessero udirlo:
«Ti ricordi, una volta abbiamo parlato del gioco.... Soltanto gli stupidi giocano fidando nella fortuna; sul sicuro si deve giocare, e io voglio provare.»
«Provare la fortuna o a colpo sicuro?» pensò Rostov.
«Ma forse è meglio che tu non giochi,» aggiunse Dolochov, e facendo schioccare il mazzo dal quale aveva strappato l'involucro, aggiunse ancora: «Banco, signori!»
E Dolochov, dopo aver spostato davanti a sé i denari, si preparò a tener banco. Rostov gli sedette accanto, e da principio non giocò. Dolochov ogni tanto gli gettava un'occhiata.
«Perché non giochi?» disse.
Stranamente, Nikolaj si sentì spinto a prendere una carta, a puntare una posta insignificante, pur di entrare nel gioco.
«Non ho denari con me,» disse Rostov.
«Ti faccio, credito!»
Rostov puntò cinque rubli su un'altra carta e perse; ne puntò altri cinque e perse di nuovo. Dolochov lo «ammazzò», ossia vinse dieci carte di seguito a Rostov.