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braccia nude e sottili, le piccole gambe chiuse nelle brachette lunghe di merletto e le scarpine scollate, era in quella graziosa età in cui una ragazza non è più una bambina, ma non è ancora una giovinetta. Svincolatasi dalle braccia del padre, ella corse verso la madre, e senza curarsi del suo severo ammonimento, nascose il volto acceso fra le trine dello scialle materno e scoppiò a ridere. C'era qualcosa che la faceva ridere ed essa vi alludeva, accennando con parole convulse e precipitose alla bambola che frattanto aveva tolto di sotto alla gonnella.   
   «Vedete?... La bambola... Mimì... Vedete.»   
   E Nataša non poté dire altro (tutto le pareva così buffo). Si abbandonò addosso a sua madre e scoppiò a ridere in modo così fragoroso e squillante che tutti, persino l'altezzosa ospite, senza volerlo risero anch'essi.   
   «Su, va', va' pure con il tuo mostro!» disse la madre, respingendo la figlia con finta stizza. «È la minore delle mie figliole,» aggiunse, rivolgendosi alla Karagina.   
   Staccando per un istante la faccia dallo scialle di trina della madre, Nataša la guardò dal basso in su attraverso le lacrime del riso e poi tornò a nascondere la faccia.   
   L'ospite, costretta ad ammirare quella scenetta familiare, ritenne necessario prendervi parte in qualche modo.   
   «Dite, mia cara,» chiese a Nataša, «chi è per voi questa Mimì? Una figlia, immagino...»   
   A Nataša non piacque quell'indulgere della Karagina al mondo infantile. Non rispose e guardò l'ospite, seria in volto.   
   Frattanto tutta la gioventù - l'ufficiale, che era Boris, il figlio della principessa Anna Michajlovna; lo studente, Nikolaj, figlio maggiore del conte; Sonja, la nipote quindicenne del conte, e il piccolo Petruša,

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