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il più piccolo dei figli Rostov - si era installata al completo nel salotto e visibilmente si sforzava di contenere nei limiti delle convenienze la vivacità e l'allegria che spirava da ogni tratto dei loro volti. Si capiva che di là, nelle stanze interne, di dove erano sbucati così precipitosamente, avevano tenuto delle conversazioni più divertenti dei pettegolezzi cittadini, delle chiacchiere sul tempo e della comtesse Apraksine. Ogni tanto si sogguardavano e si trattenevano a stento dal ridere.   
   I due giovanotti - lo studente e l'ufficiale - amici d'infanzia, avevano la stessa età ed erano due bei ragazzi, per quanto diversissimi. Boris era un giovane alto e biondo, con un bel viso calmo dai lineamenti fini e regolari. Nikolaj era riccioluto, non molto alto di statura, dall'espressione aperta e leale. Sul suo labbro superiore già spuntavano dei baffetti neri e tutta la sua faccia esprimeva entusiasmo e impetuosità. Appena entrato in salotto, Nikolaj era arrossito. Si vedeva che cercava qualcosa da dire senza trovarla; Boris, al contrario, si era sentito subito a suo agio e ora raccontava con calma e in modo scherzoso com'egli conoscesse quella bambola Mimì fin da quando era una giovinetta dal naso non ancora ammaccato, e come da cinque anni a questa parte, per quanto ricordava, fosse invecchiata e come avesse la testa spaccata per tutta la lunghezza del cranio. Detto questo, lanciò un'occhiata a Nataša, la quale si volse dall'altra parte, e sbirciò il fratello minore che, strizzando gli occhi, sussultava in una silenziosa risata. Poi, non avendo più la forza di trattenersi, con un balzo corse via dalla stanza quanto più in fretta potevano portarla le sue piccole gambe svelte. Boris non rise più.   
   «Anche voi, mi pare, stavate per andarvene, maman? Vi occorre la

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