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accostò alla tavola, si versò un bicchiere di tè e poi ne versò un altro per il vecchio imberbe e glielo diede. Pierre cominciò a provare una sorta di inquietudine e un bisogno, quasi un'invincibile necessità, di entrare in conversazione col viaggiatore.   
   Il domestico restituì, vuoto, il suo bicchiere capovolto con un avanzo di zolletta di zucchero, e domandò se occorresse qualcosa.   
   «Niente. Dammi il libro,» rispose il viaggiatore.   
   Il domestico diede il libro che a Pierre sembrò un libro di preghiere e il viaggiatore si immerse nella lettura. Pierre lo guardava. A un tratto il viaggiatore mise da parte il libro, lo chiuse dopo avervi messo un segno, richiuse gli occhi e, appoggiatosi alla spalliera del divano, riprese la posizione di prima. Pierre lo guardava, e non fece in tempo a volgersi dall'altra parte, che il vecchio aprì gli occhi e gli puntò in faccia uno sguardo fermo e severo.   
   Pierre si sentì turbato. Avrebbe voluto sfuggire a quello sguardo, ma quegli occhi senili e scintillanti lo attiravano in modo irresistibile.   
   

   Capitolo II   

   
   «Ho il piacere di parlare con il conte Bezuchov, se non erro,» disse il viaggiatore con voce lenta e sonora.   
   Pierre, in silenzio, guardava attraverso gli occhiali il suo interlocutore con espressione interrogativa.   
   «Ho sentito parlare di voi, caro signore,» proseguì il viaggiatore, «e della sventura che vi ha colpito.» Parve sottolineare queste ultime parole, come se dicesse: «Sì, una sventura; comunque vogliate chiamarla, io so che quanto vi è accaduto a Mosca è stata una sventura.» «Me ne

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