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bastava non far nulla di ciò che nel reggimento di Pavlograd era considerato male; se ti danno un ordine, esegui ciò che è stabilito in modo chiaro e netto, in adempimento a ciò che ti è stato comandato, e tutto andrà bene.   
   Entrato di nuovo in queste precise regole di vita reggimentali, Rostov provava una gioia e una tranquillità simili a quelle che prova un uomo stanco quando si corica per riposare. La vita militare gli riusciva tanto più consolante in quella campagna, in quanto, dopo quella perdita al gioco con Dolochov - una cosa che, nonostante i familiari lo avessero consolato, non poteva perdonarsi - egli aveva deciso di non prestare più servizio come prima, ma, per cancellare la sua colpa, di servire bene, di essere un compagno e un ufficiale perfetto: cioè un uomo eccellente, cosa che appariva così ardua «nel mondo» e così attuabile, invece, nel reggimento.   
   Dal momento della sua perdita al gioco Rostov aveva deciso che in cinque anni avrebbe pagato il debito ai genitori. Essi gli mandavano diecimila rubli l'anno, ma ora aveva deciso di accettarne soltanto duemila e di lasciare gli altri ottomila ai genitori, fino a estinzione del debito.   
   
   Il nostro esercito, dopo una serie di ritirate, di avanzate e di offensive presso Pultusk e Preussisch-Eilau, si era concentrato nelle vicinanze di Bartenstein. Si aspettava che l'imperatore raggiungesse le truppe e cominciassero le nuove operazioni di guerra.   
   Il reggimento di Pavlograd, che era compreso fra quelle unità che avevano combattuto nella campagna del 1805, era giunto in ritardo per le prime azioni del nuovo movimento operativo, poiché aveva dovuto completare i suoi effettivi in Russia. Non si era trovato né a Pultusk, né a

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