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quel chiacchierone di medico se ne andasse.   
   «Il maggiore Denisov,» ripeté Rostov, «è stato ferito presso Mölten...»   
   «Mi pare che sia morto. Eh, Makeev?» domandò il medico, indifferente, rivolto all'infermiere.   
   L'infermiere non confermò le parole del medico.   
   «Uno alto coi capelli rossicci?» domandò il medico.   
   Rostov descrisse l'aspetto fisico di Denisov.   
   «C'era, sì, ce n'era uno così,» disse il dottore con aria stranamente soddisfatta; «anzi, dev'essere morto; del resto, vedrò d'informarmi, avevo gli elenchi. Ce l'hai tu, Makeev?»   
   «Gli elenchi li ha Makar Alekseiè,» rispose l'infermiere. «Ma favorite nei reparti degli ufficiali, potrete vedere voi stesso,» soggiunse, rivolgendosi a Rostov.   
   «Eh, meglio non andarci, batjuška,» disse il medico. «Cercate di evitare di restarci anche voi, qua!»   
   Ma Rostov salutò il medico e pregò l'infermiere di accompagnarlo.   
   «Non prendetevela con me, poi; facciamo gli scongiuri,» gridò ancora il medico di sotto le scale.   
   Rostov e l'infermiere entrarono in un tetro corridoio. Qui il lezzo d'ospedale era così forte che Rostov dovette turarsi il naso e fermarsi un istante per raccogliere le forze e andare avanti. A destra una porta venne aperta e si affacciò un uomo magro e giallo, scalzo e con la sola biancheria addosso. Appoggiatosi allo stipite, egli scrutò i due uomini che passavano con occhi luccicanti, invidiosi. Sbirciando dalla porta nella stanza, Rostov vide che i malati e i feriti giacevano per terra, coricati sulla paglia e sui pastrani.   

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