guardia francese offriva il reggimento Preobraženskij. I sovrani dovevano presenziare a questo banchetto.
Rostov si era sentito così imbarazzato e a disagio con Boris, che quando, dopo la cena, quest'ultimo era venuto a dargli un'occhiata, egli aveva fatto finta di dormire e il giorno dopo era uscito dalla casa di buon'ora per evitare di incontrarlo. Gironzolò per la città in frac e cappello tondo, osservando i francesi e le loro divise, guardando le vie e le case nelle quali erano alloggiati i due imperatori. Su una piazza vide le tavole già disposte e i preparativi per il pranzo, nelle strade notò gli addobbi con le bandiere dai colori russi e francesi ed enormi monogrammi A e N. Bandiere e monogrammi erano esposti anche alle finestre.
«Boris non vuole aiutarmi e io non voglio rivolgermi a lui. È una cosa decisa,» pensava Nikolaj, «fra noi tutto è finito, ma non me ne andrò di qui senza aver fatto tutto ciò che posso per Denisov e, soprattutto, senza aver trasmesso la lettera all'imperatore. All'imperatore? Ma l'imperatore è qui!» pensò, tornando ad avvicinarsi senza volerlo alla casa occupata da Alessandro.
Sotto la casa erano in sosta alcuni cavalli da sella, e si andava radunando il seguito, che evidentemente si stava preparando all'uscita dell'imperatore.
«Da un momento all'altro può accadermi di vederlo,» pensava Rostov. «Se potessi consegnargli la lettera di persona e dirgli tutto... È mai possibile che possano arrestarmi per via del frac? No, non può essere! Lui capirebbe chi è dalla parte del giusto. Lui capisce tutto, lui sa tutto. Chi può essere più giusto e più magnanimo di lui? E poi, anche se mi arrestassero perché mi trovo qui, sarebbe una gran disgrazia, alla fin