punto di fuggire; ma il furiere di corte che l'aveva accolto gli aprì la porta della stanza di guardia e Rostov vi entrò.
In questa stanza stava in piedi un uomo grassoccio, di media statura, sui trent'anni, in pantaloni bianchi e stivali alla scudiera, con una camicia di batista che palesemente aveva appena indossata; un cameriere gli allacciava sul dorso un paio di bellissime bretelle nuove, di seta ricamata, che a Rostov, chissà perché, venne fatto di notare. L'uomo conversava con qualcuno che si trovava nella stanza attigua.
«Bien fàite et la beauté du diable,» stava dicendo l'uomo; ma vedendo Rostov smise di parlare e si accigliò.
«Che cosa volete? Una supplica?»
«Qu'est ce que c'est?» domandò qualcuno dall'altra stanza.
«Encore un pétitionnaire,» rispose l'uomo con le bretelle.
«Ditegli di venire dopo. Adesso sta per uscire, bisogna andare.»
«Dopo, dopo, domani. È tardi...»
Rostov si voltò e avrebbe voluto uscire, ma l'uomo con le bretelle lo trattenne.
«Da parte di chi? E voi chi siete?»
«Da parte del maggiore Denisov,» rispose Rostov.
«Voi chi siete? Un ufficiale?»
«Tenente. Sono il conte Rostov.»
«Che razza di ardire! Inoltratela per via d'ufficio. E voi andate, andate...» e si accinse a indossare l'uniforme che il cameriere gli porgeva.
Rostov uscì nell'andito e notò che sull'ingresso erano già radunati molti ufficiali e generali in alta tenuta, fra i quali lui si sarebbe dovuto aprire il passo.