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   «Ma io non ho fatto parola di lui,» si giustificò l'ufficiale, il quale non riusciva a spiegarsi quelle escandescenze se non con il fatto che Rostov fosse ubriaco.   
   Ma Rostov non l'ascoltava.   
   «Noi non siamo diplomatici, siamo soldati, nient'altro che soldati,» continuò. «Ci comandano di morire, e si muore. Se ci puniscono, vuol dire che siamo colpevoli; non sta a noi giudicare. E se a sua maestà l'imperatore piace riconoscere Bonaparte quale imperatore e concludere un'alleanza con lui, vuol dire che così va fatto. Se ci mettessimo a giudicare e a decidere noi di tutto, non resterebbe piú nulla di sacro. Di questo passo potremmo arrivare ad affermare che Dio non esiste, che non esiste nulla,» gridava Nikolaj picchiando il pugno sulla tavola, molto a sproposito secondo i suoi interlocutori, ma molto coerentemente secondo il corso dei suoi pensieri. «Il nostro compito è quello di fare il nostro dovere, di batterci; ecco tutto,» concluse.   
   «E di bere,» disse uno degli ufficiali che non aveva voglia di litigare.   
   «Sì, e di bere,» gli fece eco Rostov. «Ehi, tu! Ancora una bottiglia!» gridò.   
   

   PARTE TERZA Capitolo I   

   
   Nel 1808 l'imperatore Alessandro si recò a Erfurt per incontrarsi di nuovo con l'imperatore Napoleone, e nell'alta società di Pietroburgo si parlò molto della magnificenza di quel solenne incontro.   
   Nel 1809 l'intesa fra i due signori del mondo, come s'usava chiamare Napoleone e Alessandro, giunse al punto che quando Napoleone, quell'anno,

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