saper niente della sua esistenza; ed era contenta, felice di chissà quale sua vita: una vita certo sciocca, ma allegra e spensierata. «Di che cosa sarà così contenta? A che cosa pensa? Non al codice militare, non alla sistemazione dei contadini di Rjazan' e dei loro canoni. A che cosa pensa? E perché è così felice?» si domandava il principe Andrej con un moto d'involontaria curiosità.
Nel 1809 il conte Il'ja Andreeviè viveva a Otradnoe come aveva sempre vissuto, ossia ricevendo in casa sua quasi tutta la provincia, fra cacce, pranzi, spettacoli teatrali e orchestre. Come lo era dell'arrivo d'ogni nuovo ospite, si rallegrò di veder giungere il principe Andrej, e quasi di forza lo convinse a passar lì la notte.
Nel corso di quella noiosa giornata - durante la quale il principe Andrej fu intrattenuto dai membri più anziani della famiglia e dagli ospiti di maggior riguardo che riempivano la casa del vecchio conte in occasione di un imminente onomastico - Bolkonskij si sorprese diverse volte a guardare Nataša, che rideva e si divertiva in mezzo ai giovani della compagnia, continuando a chiedersi: «A che cosa pensa? Di che cosa sarà così contenta?»
La sera, rimasto solo in quel posto nuovo, a lungo non gli riuscì di prender sonno. Leggeva, poi spegneva il lume, poi tornava ad accenderlo. Nella camera, con le imposte chiuse dall'interno, faceva caldo. Era irritato contro quel vecchio imbecille (così chiamava Rostov), che lo aveva trattenuto col pretesto che i documenti necessari non erano ancora giunti dalla città; ed era irritato anche contro se stesso per essersi lasciato indurre a rimanere.
Si alzò dal letto e andò alla finestra per aprirla. Non appena ebbe spalancato le imposte, la luce della luna, come se da tempo non avesse