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quercia, del tutto trasfigurata, aveva aperto un baldacchino di tenere foglie verde cupo, e si beava, ondeggiando appena, nei raggi del sole al tramonto. Erano scomparse le dita contorte, le escare sulla corteccia, non c'erano più dolore e afflizione: non si vedeva più nulla del genere. Dalla dura corteccia secolare erano spuntate, sprovviste di rami, fresche, giovani foglie, tanto che non si riusciva a credere che le avesse generate quel vegliardo.   
   «Sì, è proprio quella stessa quercia,» pensò il principe Andrej, e di colpo senza alcun motivo lo assalì un senso primaverile di gioia e di rinnovamento. All'improvviso tutti i momenti più solenni della sua vita gli tornarono simultaneamente alla memoria: l'alto cielo di Austerlitz, il volto carico di rimprovero della moglie morta, Pierre sulla chiatta del traghetto, la fanciulla emozionata dalla bellezza della notte, e quella nottata, e quella luna: tutto, a un tratto, gli passò per la mente.   
   «No, la vita non finisce a trentun anni,» pensò a un tratto il principe Andrej con decisione ferma e immutabile. «Non basta che io sappia tutto quello che passa dentro di me; bisogna che lo sappiano anche gli altri: Pierre, e questa fanciulla che voleva volare verso il cielo; bisogna che tutti mi conoscano, che la mia vita non scorra per me soltanto, che essi non vivano così fuori della mia vita, che la mia vita si rifletta in tutti e che tutti vivano insieme con me!»   
   
   Tornato da questo viaggio, il principe Andrej deliberò che in autunno si sarebbe recato a Pietroburgo e prese a meditare varie motivazioni che giustificassero quella sua decisione: una serie di argomenti ragionevoli e logici in base ai quali doveva assolutamente andare a Pietroburgo e magari anche prendervi servizio, era in qualunque momento a sua disposizione.

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