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fosse addolcito e maturato, che non notassero più, in lui, l'artificiosità, l'alterigia e i modi beffardi di un tempo, ma quella pacatezza che si acquista col volgere degli anni. Di lui si parlava, per lui si provava interesse, tutti volevano vederlo.   
   La sera del giorno successivo all'udienza dal conte Arakèeev, il principe Andrej era in casa del conte Koèubej. Egli riferì al conte il suo colloquio con Sila Andreiè (così Koèubej chiamava Arakèeev, con quella stessa vaga ironia che il principe Andrej aveva già rilevato nell'anticamera del ministro della guerra).   
   «Mon cher, anche in questa faccenda non eviterete Michail Michajloviè. C'est le grand faiseur. Glielo dirò io. Mi aveva promesso di venire stasera...»   
   «Che cosa c'entra Speranskij con i codici militari?» domandò il principe Andrej.   
   Koèubej scosse il capo sorridendo, quasi fosse stupito dall'ingenuità di Bolkonskij.   
   «Abbiamo parlato di voi, in questi giorni,» proseguì Koèubej, «dei vostri liberi contadini...»   
   «Già, siete voi, principe, che avete emancipato i vostri contadini?» disse un vecchio aristocratico dei tempi di Caterina, volgendosi con disprezzo verso Bolkonskij.   
   «Una piccola proprietà, non fruttava alcun reddito,» rispose Bolkonskij per non irritare inutilmente il vecchio e cercando di minimizzare ai suoi occhi ciò che aveva fatto.   
   «Vous craignez d'être en retard,» disse il vecchio rivolto al conte Koèubej. «C'è una cosa che io non capisco,» continuò il vecchio, «chi arerà la terra se si dà la libertà ai contadini? Ci vuol poco a far le

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