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leggi, ma applicarle è difficile. Come quanto sta accadendo adesso: io vi domando, conte: chi andrà ai posti direttivi, se tutti dovranno far tanto di esami?»   
   «Chi sarà promosso agli esami, immagino,» rispose Koèubej, accavallando le gambe e guardandosi attorno.   
   «Io ho un impiegato, per esempio, un certo Prjaniènikov, ottima persona, un uomo d'oro; ma ha sessant'anni, dovrà forse andare a far gli esami?...»   
   «Sì, questo è un inconveniente, dato che l'istruzione è assai poco diffusa, ma...»   
   Il conte Koèubej non terminò la frase; si alzò in piedi, prese per mano il principe Andrej, si avviò verso un uomo che stava entrando in quel momento, alto, calvo, biondo, sulla quarantina, con una larga fronte spaziosa e un inconsueto, strano pallore diffuso sul volto allungato. Il nuovo venuto indossava un frac blu, con una croce al collo e una stella appuntata sul alato sinistro del petto. Era Speranskij. Il principe Andrej lo riconobbe subito e nella sua anima qualcosa tremò, come accade nei momenti importanti della vita. Non sapeva se fosse deferenza o invidia, oppure ansia. Tutta la figura di Speranskij irraggiava alcunché di particolare che lo faceva spiccare subito tra ogni altro.   
   In nessuno di quanti appartenevano alla società frequentata dal principe Andrej egli aveva mai colto tanta tranquillità e sicurezza nei movimenti, che pure apparivano goffi e pesanti; in nessuno aveva colto uno sguardo così fermo e al tempo stesso così dolce negli occhi socchiusi e un po' umidi; né aveva visto un sorriso così fermo, che pur non significava nulla, una voce tanto sottile, eguale e pacata e, soprattutto, un così delicato pallore del viso e più ancora delle mani, un po' larghe, ma

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