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verso il letto, strisciò lestamente un piedino contro l'altro, si levò le pantofole e saltò su quel giaciglio che la contessa temeva potesse diventare la sua bara. Il letto era alto, con i piumini e cinque guanciali di grandezza decrescente. Nataša saltò su, affondò nel piumino, si volse verso la parete e cominciò ad agitarsi sotto la coperta, accomodandosi, sollevando le ginocchia fino al mento, scalciando e ridendo sommessamente, ora coprendosi fino al capo, ora sbirciando sua madre. La contessa terminò la preghiera, poi si avvicinò al letto con espressione severa, ma vedendo che Nataša si era tirata le coperte fin sopra la testa, sorrise del suo sorriso debole e buono.   
   «Ma, ma, ma...» disse la madre.   
   «Mamma, possiamo parlare, sì?» chiese Nataša. «Via, per una volta sola, proprio in confidenza; ancora una volta e poi basta.»   
   Cinse con le braccia il collo della madre e la baciò sotto il mento. Nel suo comportamento Nataša mostrava una certa rudezza esteriore, ma era così sensibile e garbata che, in qualunque modo abbracciasse sua madre, sapeva sempre farlo in modo da non cagionarle né dolore, né fastidio, né impaccio.   
   «Be', che cosa c'è oggi?» domandò la contessa, accomodandosi sui guanciali e aspettando che Nataša, dopo aver fatto due giravolte su se stessa, si sdraiasse accanto a lei sotto la medesima coperta, sporgendo le braccia fuori e assumendo un'aria seria.   
   Queste visite notturne di Nataša, che avvenivano prima che il conte tornasse dal club, erano uno dei piaceri prediletti dalla madre e dalla figlia.   
   «Allora, cosa c'è oggi? Io, piuttosto, volevo dirti...»   
   Nataša coprì con la mano la bocca della madre.   

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