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   «Di Boris... lo so,» disse seria, «per questo sono venuta. Non mi dite nulla, lo so. No, parlate!» Tolse la mano. «Ditemi, mamma: è simpatico?»   
   «Nataša, tu hai sedici anni; alla tua età io ero già sposata. Tu mi chiedi se Boris è simpatico. È molto simpatico e io gli voglio bene come a un figlio, ma tu che intenzioni hai? Che cosa hai in mente? Gli hai fatto girare la testa, questo lo vedo...»   
   E la contessa, nel dire queste parole, si volse a guardare la figlia. Nataša era sdraiata e guardava immobile, fisso davanti a sé, una delle sfingi di mogano intagliate agli angoli del letto, cosicché la contessa vedeva soltanto il suo profilo. Ma quel profilo colpì la contessa per la sua espressione grave e concentrata.   
   Nataša ascoltava e rifletteva.   
   «Ebbene, che importa?» disse.   
   «Tu gli hai fatto gitare la testa. Ma perché? Io ti chiedo: che cosa vuoi da lui? Sai benissimo che non puoi sposarlo.»   
   «Perché?» disse Nataša, senza cambiare posizione.   
   «Perché lui è giovane, perché è povero, perché è un parente... infine perché non ne sei innamorata.»   
   «E come lo sapete?»   
   «Lo so. Così non va, mia cara.»   
   «E se io volessi...» disse Nataša.   
   «Smettila di dire sciocchezze,» interruppe la contessa.   
   «E se io volessi...»   
   «Nataša, sto parlando seriamente...»   
   Nataša non la lasciò dire, tirò a sé la grande mano della contessa e la baciò sul dorso, poi sul palmo, poi la voltò di nuovo e prese a baciarla sulla nocca di un dito, poi sulla falange poi di nuovo sulla nocca,

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