«Subito, subito. E voi siete pronta, mamma?»
«Non ho che da appuntarmi la tocque.»
«Aspettate, vengo io!» gridò Nataša, «voi non siete capace!»
«Ma sono già le dieci.»
Avevano convenuto di arrivare al ballo per le dieci e mezzo, mentre Nataša doveva ancora vestirsi e bisognava andare fino al Giardino di Tauride.
Terminata l'acconciatura Nataša, con indosso una camicetta di sua madre e un gonnellino corto sotto il quale si vedevano le scarpine da ballo, corse da Sonja, la squadrò e poi corse dalla madre. Le fece voltare il capo, le appuntò la tocque, giunse a tempo a darle un bacio sui capelli grigi, poi corse di nuovo dalle cameriere che stavano imbastendole la veste.
Il ritardo fu aggravato dalla gonna di Nataša, che era risultata troppo lunga; due cameriere la stavano imbastendo, recidendo frettolosamente i fili con i denti. Una terza, con le spille strette fra le labbra e fra i denti, correva ora dalla contessa ora da Sonja; una quarta reggeva l'abito di tulle a mezz'aria, tenendo il braccio proteso in tutta la sua lunghezza.
«Mavruša, fa' presto, cara!»
«Passatemi il ditale, signorina.»
«Ci siamo, finalmente?» esclamò il conte, accostandosi alla porta. «Eccovi i profumi. La Peronskaja starà già aspettando da un pezzo.»
«È pronto, signorina,» disse la cameriera, sollevando con due dita l'abito imbastito, scuotendolo e soffiandovi via qualcosa, quasi ad esprimere con quel gesto la consapevolezza di reggere tra le mani un abito candido e vaporoso.