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ascoltava con orgoglio; quando parlava lei, a volte si accorgeva con una sorta di gioioso timore che lui la guardava attento, indagatore. Allora si domandava, perplessa:   
   «Che cosa cerca in me? Dove vuole arrivare col suo sguardo? E se in me non ci fosse ciò che lui cerca col suo sguardo?» A volte la prendeva quella pazza allegria che era una sua peculiarità, e allora le piaceva soprattutto ascoltare e guardare come rideva il principe Andrej. Egli rideva di rado, ma in compenso, quando gli accadeva di ridere, si abbandonava tutto alla propria ilarità, e ogni volta, dopo quelle risate, Nataša si sentiva più vicina a lui. Ella sarebbe stata pienamente felice se non l'avesse turbata il pensiero dell'imminente separazione, che si andava avvicinando sempre più.   
   La vigilia della sua partenza da Pietroburgo il principe Andrej portò con sé Pierre, che dall'epoca del ballo non si era più fatto vedere dai Rostov. Pierre appariva sconcertato e confuso. Si mise a discorrere con la contessa. Nataša sedette con Sonja al tavolino degli scacchi, invitando tacitamente il principe Andrej, a unirsi a loro. Egli si avvicinò.   
   «Conoscete da molto tempo Bezuchov?» le domandò. «Gli volete bene?»   
   «Sì, è un uomo eccellente; e così buffo!»   
   E, come sempre quando parlava di Pierre, Nataša si mise a raccontare buffi aneddoti sulla sua distrazione, storielle che magari erano state del tutto inventate.   
   «Sapete, io gli ho confidato il nostro segreto,» disse il principe Andrej. «Lo conosco dall'infanzia. È un cuore d'oro. Vi prego, Nathalie,» aggiunse a un tratto con voce seria, «io parto, Dio sa che cosa può accadere. Voi potete disamor... Sì, lo so che non dovrei parlare di questo. Ma voglio dirvi una cosa sola: qualsiasi cosa vi accada quando io

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