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sopra di tutto, gli era tuttavia devoto ed era un suo cacciatore.   
   «Danila!» disse timidamente Nikolaj, che, alla vista di quella giornata fatta apposta per la caccia, di quei cani e del cacciatore, si sentì come sciogliere dentro, e prendere da quell'invincibile frenesia per la caccia in cui ci si dimentica di tutti i propositi fatti, come un innamorato in presenza della donna amata.   
   «Che cosa ordinate, eccellenza?» domandò una voce di basso profondo, arrochita a furia di aizzare i cani, mentre due neri occhi scintillanti guardarono di sottecchi il padrone che taceva. «Be', non ci resisti, vero?» parevano dire quei due occhi.   
   «Bella giornatina, eh? Buona per i cani e per i cavalli,» disse Nikolaj, grattando Milka dietro le orecchie.   
   Danila non rispose, e ammiccò gli occhi.   
   «Ho mandato Uvarka ad ascoltare, stamattina all'alba,» continuò la sua voce di basso dopo quel momento di silenzio; «ha detto che è passata nella riserva di Otradnoe, è là che si udivano ululare.» (Quel «passata» stava a significare che la lupa di cui tutt'e due sapevano, si era portata con i cuccioli nel bosco di Otradnoe, che distava due verste da casa ed era una piccola riserva di caccia.)   
   «Conviene andare, dunque?» disse Nikolaj. «Vieni su da me con Uvarka.»   
   «Come ordina vostra signoria.»   
   «Allora aspetta a farli mangiare.»   
   «Sissignore.»   
   Cinque minuti dopo Danila e Uvarka erano nel grande studio di Nikolaj. Sebbene Danila fosse piccolo di statura, a vederlo nella stanza pareva un cavallo o un orso posato sul pavimento lucido, in mezzo alla mobilia e agli attributi della vita civile. Danila per primo se ne rendeva conto e,

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