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cosa sconveniente e penosa, aver a che fare con la signorina gli pareva addirittura impossibile. Abbassò gli occhi e si affrettò a uscire, come se la cosa non lo riguardasse, avendo cura di non urtare, in qualche modo, Nataša.   
   

   Capitolo IV   

   
   Quel giorno, il 15 settembre, il vecchio conte, che aveva sempre tenuto grandi cacce e adesso ne aveva rimessa l'intera organizzazione nelle mani di suo figlio, pieno di buon umore si accinse a partire anche lui.   
   Dopo un'ora tutto era pronto davanti all'ingresso. Nikolaj, con un'aria severa dalla quale si comprendeva come adesso non ci fosse tempo per occuparsi di sciocchezze, passò davanti a Nataša e a Petja che gli volevano raccontare qualcosa. Esaminò attentamente cani e cacciatori, prima di mandarli avanti in ricognizione; poi montò sul suo sauro del Donets, e fischiando ai cani della sua muta si mosse attraverso l'aia verso i campi che portavano alla riserva di Otradnoe. Il cavallo del vecchio conte, un vivace castrone sauro chiamato Vifljanka, era condotto a mano dallo staffiere di casa; il conte si sarebbe portato direttamente in carrozza all'appostamento che gli era stato destinato.   
   Erano stati fatti uscire cinquantaquattro segugi ai quali badavano sei uomini a cavallo, fra bracchieri e canettieri. Oltre ai padroni, badavano ai levrieri otto uomini che trottavano dietro di loro in numero di quaranta e più; sicché, contando anche le mute dei signori, erano in campo circa centotrenta cani e venti cacciatori a cavallo.   
   Ogni cane conosceva il suo padrone e il suo nomignolo. Ogni cacciatore sapeva ciò che doveva fare, conosceva il suo posto e la sua destinazione.

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