così, magari, mi accade d'imbattermi in una compagnia come questa... Che cosa può esserci di meglio (ed egli si tolse di nuovo il suo berretto di castoro davanti a Nataša)? Ma, quanto a contare le pelli che si portano a casa, per me fa proprio lo stesso!»
«Avete ragione.»
«Né bisogna credere che mi dispiaccia se è un cane altrui che acciuffa la selvaggina, e non il mio: a me basta guardare la muta che insegue; non siete del mio parere, conte? Io penso infatti...»
«Atù! Atù!» In quel momento risuonò un grido protratto di uno dei bracchieri che si erano fermati. Questi era fermo su un monticello fra le stoppie, con lo scudiscio sollevato, e ripeté ancora una volta in un grido protratto: «Atù! Atù!» Quel grido e lo scudiscio alzato stavano a significare che l'uomo aveva visto davanti a sé una lepre acquattata.
«Ha avvistato qualcosa, a quel che pare,» disse Ilagin con voce noncurante. «La bracchiamo, conte?»
«Sì, conviene andare... Ma come si fa, insieme?» rispose Nikolaj, guardando Erza e il rosso Rugaj dello zio, i due rivali coi quali non aveva ancora avuto l'occasione di misurare i suoi cani.
«Sta' a vedere che fanno sfigurare la mia Milka!» pensò, muovendosi verso il punto ove la lepre era stata avvistata, a fianco dello zio e di Ilagin.
«È grossa?» domandò Ilagin avvicinandosi al cacciatore che l'aveva avvistata. Si guardò intorno, non senza una certa eccitazione, e lanciò un fischio di richiamo a Erza.
«E voi, Michail Nikanoryè?» domandò poi, rivolto allo zio.
Questi cavalcava con la fronte corrugata.
«Come volete che m'intrufoli anch'io! I vostri vanno benone. Avanti,