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elevata di ogni altra.»   
   Nikolaj non andò a Mosca; e la contessa non tornò più sul discorso, ma vedeva con tristezza, e talvolta perfino con irritazione, i sintomi d'una intimità sempre più viva fra suo figlio e Sonja, che non aveva dote. Se lo rimproverava, ma non poteva trattenersi dal brontolare, dal punzecchiarla, sovente fermandola solo per darle del voi o dirle «mia cara». E tanto più la buona contessa si irritava con Sonja in quanto lei, questa nipote povera dagli occhi neri era così mite, così buona, così traboccante di devota riconoscenza per i suoi benefattori e innamorata di Nikolaj con abnegazione così fedele e immutabile, che non si poteva rimproverarle nulla.   
   Nikolaj stava ultimando in casa dei suoi genitori il suo periodo di licenza. Era giunta una quarta lettera del principe Andrej, datata da Roma, in cui egli scriveva che da tempo sarebbe già stato in viaggio per la Russia se, inaspettatamente, il clima caldo non avesse fatto riaprire la sua ferita, il che lo costringeva a rimandare la partenza fino al principio dell'anno successivo. Nataša era sempre egualmente innamorata del suo fidanzato, egualmente appagata da quest'amore ed egualmente ricettiva a tutte le gioie della vita; ma alla fine del quarto mese di distacco da lui cominciarono ad assalirla momenti di tristezza contro i quali non le riusciva di lottare. Provava pena per se stessa, pena di dover vivere così a vuoto, per nulla, per nessuno, tutto questo tempo nel quale, invece, si sentiva così capace di amare e di essere amata.   
   In casa Rostov non c'era davvero molta allegria.   
   

   Capitolo IX   

   

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