Vennero le feste di Natale e, oltre alla messa solenne, oltre ai solenni e noiosi auguri degli amici e dei servitori, oltre ai vestiti nuovi per tutti, non accadde nulla di speciale a contrassegnare quelle festività; ma, con quei venti gradi sotto zero, con quel gelo senza vento, con quel sole sfolgorante e accecante e, di notte, quell'invernale scintillio delle stelle si sentiva il bisogno di qualcosa che desse colore a simili giornate.
Il terzo giorno delle feste, dopo il pranzo, tutti i familiari si erano ritirati nelle loro camere. Era il momento più noioso della giornata. Nikolaj, che quella mattina era andato in visita dai vicini, dormiva nella stanza dei divani. Il vecchio conte riposava nel suo studio. In salotto Sonja, seduta al tavolo rotondo, ricalcava il disegno per un ricamo. La contessa disponeva le carte per un solitario. Nastas'ja Ivanovna, il buffone, se ne stava seduto con aria melanconica accanto alla finestra in compagnia di due vecchiette. Nataša entrò nella stanza, si avvicinò a Sonja, guardò che cosa faceva, poi si accostò a sua madre e si fermò in silenzio.
«Perché giri come un'anima in pena?» le chiese la contessa. «Che cosa ti occorre?»
«Ho bisogno di lui... subito, in questo istante, ho bisogno di lui,» disse Nataša con gli occhi lucenti, senza sorridere.
La contessa alzò il capo e guardò attentamente sua figlia.
«Non guardatemi, mamma, non guardatemi: se no mi metto subito a piangere.»
«Siediti, sta un po' qui con me,» disse la contessa.
«Mamma, io ho bisogno di lui. Perché devo sprecarmi così, mamma?...»
La voce le si spezzò; le lacrime le salirono agli occhi; per