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   «Sì. E ti ricordi di quando il papà con la pelliccia blu ha sparato con il fucile sull'ingresso?»   
   Riandavano così nella memoria, sorridendo, abbandonandosi al piacere di ricordare: e non era il mesto ricordare senile, ma il poetico ricordare giovanile: quelle impressioni del passato in cui i sogni si fondono con la realtà, e ridevano piano, contenti di chissà che.   
   Come sempre, Sonja se ne stava in disparte, sebbene i loro ricordi fossero comuni.   
   Sonja non si ricordava di molte cose che loro andavano rievocando, e anche ciò di cui conservava il ricordo non suscitava in lei quel sentimento poetico che provavano Nikolaj e Nataša. Lei provava semplicemente piacere al vedere la loro gioia e si sforzava di mostrare che vi partecipava.   
   In realtà partecipò alle loro rievocazioni solo quando si ricordarono di lei che arrivava per la prima volta in casa loro. Allora raccontò di come avesse paura di Nikolaj, perché aveva dei cordoncini sulla blusa e la njanja le aveva detto che avrebbero cucito anche lei con quei cordoncini.   
   «E a me, figurati, avevano detto che tu eri nata sotto un cavolo,» disse Nataša, «e mi ricordo che allora non osavo non crederci, ma sapevo che non era vero e mi sentivo imbarazzata.»   
   Durante questi discorsi alla porta posteriore della stanza dei divani si affacciò la testa di una cameriera.   
   «Signorina, hanno portato il gallo,» disse la ragazza a bassa voce.   
   «Non serve, Polja, di' che lo riportino via,» disse Nataša.   
   Mentre era in corso la conversazione nella stanza dei divani, entrò Dimmler e si avvicinò all'arpa che stava in un angolo. Tolse la fodera e l'arpa emise un suono falso.   

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