le gambe... Io non riesco a vedere...» echeggiavano varie voci.
Nataša, la prediletta delle ragazze Meljukov, era scomparsa con loro nelle camere interne, dove chiesero dei turaccioli, diverse vestaglie e abiti da uomo, che braccia nude di ragazze si fecero dare da un domestico attraverso la porta socchiusa. Dieci minuti dopo tutte le ragazze di casa Meljukov si unirono alle maschere.
Pelageja Danilovna, dopo aver dato ordine di sbarazzare il salone per far posto agli ospiti, e di offrire da mangiare ai signori e ai loro servitori, prese a passare e ripassare fra le maschere, senza togliersi gli occhiali, e con un sorriso trattenuto li scrutava da vicino senza riconoscere nessuno. Non soltanto non riconobbe i Rostov e Dimmler, ma non fu nemmeno in grado di ravvisare le proprie figlie, rivestite com'erano delle vestaglie e delle uniformi di suo marito che esse avevano indossato.
«E questa chi sarà mai?» diceva, rivolta alla governante e guardando negli occhi sua figlia che si era mascherata da tartaro di Kazan'. «Mi sembra qualcuno dei Rostov. E voi, signor ussaro, in quale reggimento prestate servizio?» domandò a Nataša. «A questa turca, da' pure un po' di cotognata,» disse al dispensiere che girava con il vassoio, «questa, la loro legge non la vieta.»
A volte, guardando i pas così buffi e curiosi dei ballerini, che non avevano alcuna soggezione avendo stabilito una volta per tutte che, così mascherati, nessuno poteva riconoscerli, Pelageja Danilovna si nascondeva la faccia nel fazzoletto e tutto il suo grosso corpo sussultava in un'irrefrenabile e buona risata senile.
«Ah, la mia Sachinette, ah, questa Sachinette!» diceva.
Dopo le danze russe e i girotondi, Pelageja Danilovna riunì tutti,