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   «No, aspetta; ah, come sei buffa, Nataša!» ripeté Nikolaj, continuando a osservarla e trovando anche nella sorella qualcosa di nuovo, di insolito e di tenero e di seducente che prima non aveva mai visto in lei.   
   «Nataša, c'è un incantesimo, qualcosa di fatato, non credi?»   
   «Sì,» rispose Nataša, «e tu sei stato proprio bravo.»   
   «Se l'avessi vista prima come la vedo adesso,» pensava Nikolaj, «da un pezzo le avrei domandato che cosa dovevo fare; e avrei fatto tutto quello che lei mi avrebbe detto e tutto sarebbe andato bene.»   
   «Allora sei contenta? Dici che ho fatto bene?»   
   «Ah, sì, sì, molto bene! Qualche tempo fa ho litigato con la mamma proprio per questo. La mamma diceva che lei cerca di accalappiarti. Ma come si può dire una cosa simile! Per poco non ho detto alla mamma delle cose villane. A nessuno potrò mai permettere di dire o di pensare qualcosa di male sul suo conto perché lei è buona, soltanto buona.»   
   «Allora così va bene?» disse Nikolaj, osservando ancora una volta l'espressione del viso di sua sorella per sapere se era proprio vero; poi, facendo scricchiolare gli stivali sulla neve, saltò giù dal predellino e corse alla sua trojka. Laggiù era sempre seduto lo stesso felice e sorridente circasso, con i baffi e quegli occhi scintillanti che guardavano di sotto il cappuccio di ermellino; e quel circasso era Sonja e quella Sonja era senza dubbio la futura moglie di Nikolaj, felice e innamorata.   
   Quando furono a casa, ed ebbero raccontato alla contessa come avevano passato il tempo dai Meljukov, le fanciulle si ritirarono. Si spogliarono ma non cancellarono i baffi di nerofumo e rimasero a lungo, così sedute, a parlare della loro felicità. Parlavano di come sarebbero vissute da sposate, di come i loro mariti sarebbero andati d'accordo e di come tutti

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