sarebbero stati felici. Sul tavolo di Nataša c'erano ancora gli specchi che Dunjaša aveva preparato fin dalla sera.
«Soltanto... quando avverrà tutto questo? Ho paura che non avverrà mai... Sarebbe troppo bello!» disse Nataša, alzandosi e andando verso gli specchi.
«Siediti, Nataša; chissà che lui non ti appaia,» disse Sonja.
Nataša accese le candele e si sedette.
«Vedo un uomo coi baffi,» disse Nataša, che vedeva riflessa la propria faccia.
«Non bisogna ridere, signorina,» disse Dunjaša.
Con l'aiuto di Sonja e della cameriera, Nataša trovò la posizione giusta per lo specchio; la sua faccia assunse un'espressione seria e lei ammutolì. Rimase a lungo seduta, guardando la fila di candele che si allontanavano nello specchio e supponendo (secondo i racconti che aveva udito in proposito) ora di vedere una bara, ora di vedere lui, il principe Andrej, laggiù in quell'ultimo evanescente, confuso riquadro. Ma, per quanto fosse disposta a vedere nella minima macchia l'immagine di una persona o di una bara, non vedeva nulla. Cominciò a sbattere le palpebre, poi si allontanò dallo specchio.
«Perché gli altri vedono e io invece non vedo nulla?» disse. «Su, siediti, Sonja; oggi tocca a te, assolutamente. Fallo per me... Oggi ho tanta paura!»
Sonja sedette davanti allo specchio, sistemò lo specchio nella giusta posizione e cominciò a guardare.
«Ecco, Sof'ja Aleksandrovna vedrà qualcosa?» mormorò Dunjaša, «voi invece ridete sempre.»
Sonja udì quelle parole e udì anche Nataša che bisbigliava: