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   «Oltre a ciò, Pëtr Nikolaeviè, passando nella Guardia io mi metto in vista,» proseguì Berg, «e nella fanteria della Guardia i posti vacanti sono assai più frequenti. Poi, voi stesso vi rendete conto che con duecentotrenta rubli ho potuto mettermi a posto. Ne metto da parte e riesco anche a mandarne a mio padre,» continuò, emettendo una voluta di fumo.   
   «La balance y est... Un tedesco è capace di macinare il grano sul filo di una lama, comme dit le proverbe,» disse Šinšin spostando il bocchino dall'altra parte della bocca, e ammiccò al conte.   
   Il conte scoppiò a ridere. Gli altri invitati, vedendo che Šinšin guidava la conversazione, si avvicinarono per ascoltare. Senza accorgersi dell'ironia né dell'indifferenza altrui, Berg continuava a raccontare come, in forza del suo trasferimento nella Guardia, avesse già guadagnato un grado rispetto ai suoi compagni di corpo, come fosse facile che in tempo di guerra un comandante di reggimento venisse ucciso, nel qual caso lui, diventando l'anziano del reggimento, avrebbe avuto perfino la nomina a comandante; e infine che tutti nel reggimento gli volevano bene e che suo padre era così fiero di lui. Berg palesava un'evidente compiacenza raccontando tutto questo, e non sembrava sospettare nemmeno che gli altri potessero avere, a loro volta, interessi e problemi personali. Ma tutto ciò che raccontava era così garbato, e così assennato, l'ingenuità del suo giovane egoismo così scoperta, che i suoi ascoltatori ne erano disarmati.   
   «Ebbene, mio caro, si tratti di fanteria oppure di cavalleria, voi dappertutto farete strada; questo ve lo posso assicurare,» disse Šinšin, battendogli la mano sulla spalla e abbassando i piedi dall'ottomana.   
   Berg sorrise tutto giulivo; dopo di che il conte, seguito dagli invitati, passò in salotto.   

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