Il momento era quello che precede di poco un pranzo di gala, quando gli ospiti non danno corso a una lunga conversazione in attesa d'esser chiamati a tavola, e al tempo stesso considerano opportuno muoversi e non restare in silenzio per dimostrare che non sono per nulla impazienti di sedersi a tavola. I padroni di casa sbirciano la porta, di tanto in tanto si scambiano un'occhiata; e da questi sguardi gli invitati cercano d'indovinare chi ancora sia atteso: se un illustre parente ritardatario o una pietanza che non è ancora, al punto giusto.
Pierre arrivò poco prima del pranzo e sedette impacciato nel bel mezzo del salotto sulla prima poltrona che gli capitò, sbarrando la strada a tutti. La contessa avrebbe voluto indurlo a parlare, ma lui si guardava ingenuamente attorno attraverso gli occhiali, come se cercasse qualcuno, e rispondeva a monosillabi a tutte le domande della contessa. Era una persona che metteva a disagio e lui era il solo a non accorgersene. La maggior parte degli invitati, conoscendo l'episodio dell'orso, guardava con curiosità quell'uomo grande, grosso e pacifico e si chiedeva come un tipo simile, così schivo e bonario, avesse potuto combinare un tiro del genere a un commissario di polizia.
«Siete appena arrivato?» gli domandava la contessa.
«Oui, madame,» rispondeva lui, guardandosi attorno.
«Non avete ancora visto mio marito?»
«Non, madame.» E sorrise del tutto a sproposito.
«Se non erro, siete stato recentemente a Parigi, vero? Immagino che sia stato un viaggio interessante.»
«Interessantissimo.»
La contessa scambiò un'occhiata con Anna Michajlovna. Questa comprese