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che la si pregava di occuparsi del giovanotto; sedette al suo fianco e cominciò a parlare di suo padre; ma, proprio come aveva fatto con la contessa, egli le rispondeva soltanto a monosillabi. Tutti gli invitati erano impegnati a conversare fra loro.   
   «Les Razoumovsky... ça a été charmant... Vous êtes bien bonne... La comtesse Apraksine...» si udiva da tutte le parti. La contessa si alzò e si avviò verso la sala da pranzo.   
   «Mar'ja Dmitrievna?» si udì la sua voce dalla sala da pranzo.   
   «Proprio lei,» rispose una rude voce femminile, e subito dopo entrò nella stanza Mar'ja Dmitrievna.   
   Tutte le signorine - e persino le signore, eccetto le più anziane - si alzarono. Mar'ja Dmitrievna si fermò sulla soglia. Dall'alto della sua imponente figura, tenendo eretta la sua testa di cinquantenne dai boccoli grigi, contemplò gli invitati e, come se volesse rimboccarle, indugiò a rassettare le larghe maniche del suo vestito. Mar'ja Dmitrievna parlava sempre in russo.   
   «Auguri alla cara festeggiata e alle sue figliole,» disse con la sua voce rumorosa ed energica, che superava ogni altro suono. «E tu, vecchio peccatore,» si rivolse poi al conte che le baciava la mano, «ti annoi, vero, qui a Mosca? Non hai modo di correr dietro le mute di cani, eh? Che vuoi farci, batjuška, quando questi uccellini saran cresciuti...» e indicava le ragazze, «volere o non volere, bisogna pur cercargli un marito. Ebbene, mio caro cosacco?» (Mar'ja Dmitrievna chiamava Nataša «cosacco»), continuò carezzando Nataša che si era avvicinata alla sua mano senza timore e con aria lieta. «Lo so che sei una birichina, ma ti voglio bene lo stesso.»   
   Da un enorme ridicule tirò fuori degli orecchini di giacinto a goccia

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