«Ma sì, certo, si capisce,» disse Anatol', che chiaramente non lo stava ascoltando e guardava davanti a sé, il viso atteggiato a un'espressione raggiante.
Dolochov chiuse di scatto il bureau e si rivolse ad Anatol' con un sorriso beffardo.
«Sai che ti dico? Lascia perdere tutta questa faccenda; sei ancora in tempo!» esclamò.
«Pazzo,» rispose Anatol'. «Smettila di dire stupidaggini. Se tu sapessi... Già, solo il diavolo sa che cosa ho dentro!»
«Proprio così, lascia perdere,» continuò Dolochov. «Dico sul serio. Ti pare uno scherzo quello che stai facendo?»
«Sei da capo a farmi la predica? Ma va' al diavolo!» strillò Anatol' accigliandosi. «Sul serio, ho altro da fare che stare ad ascoltare le tue chiacchiere cretine!»
E uscì dalla stanza.
Mentre Anatol' usciva, Dolochov sorrise con aria di spregio e di compatimento.
«Aspetta,» gli gridò alle spalle, «io non scherzo, io parlo sul serio; vieni, vieni qui.»
Anatol' rientrò nella stanza, e cercando di concentrare l'attenzione guardò Dolochov sottomettendosi con evidente malavoglia.
«Stammi a sentire, è l'ultima volta che ti parlo. A che scopo dovrei scherzare con te? Ti ho forse contrastato? Chi ha sistemato tutto, chi ti ha trovato il prete,... chi tiha preso il passaporto, chi ti ha procurato i soldi? Io, ho fatto tutto io.»
«Bene, bene, ti ringrazio. Credi forse che non te ne sia grato?»
E sospirando Anatol' abbracciò Dolochov.